

L’impiego dell’anfora affonda le sue radici in un passato remoto, alle origini del vino, essendo la terra il materiale in cui anticamente si fermentava e affinava il vino.
Gli antichi Greci, gli Etruschi e poi i Romani ponevano il pigiato o il mosto a fermentare nei dolii, grandi recipienti di terracotta che potevano superare i 1.00 litri di capacità, di forma panciuta e con spesse pareti; spesso venivano interrati, per garantire maggiore stabilità al contenitore e per preservarli dall’evaporazione e dagli sbalzi termici.
Quasi abbandonato da secoli, il ritorno dell’anfora in cantina non sembra essere un fenomeno passeggero; esiste anzi la consapevolezza che questo antico contenitore possa dimostrare la sua modernità e duttilità enologica. Offre un ottimo isolamento termico ai fini della conservazione del vino, garantisce una buona ossigenazione senza cedere aromi o tannini.
L’utilizzo della terracotta nella fase di vinificazione e affinamento non è tuttavia un passaggio scontato; come dimostrato da diverse prove, non tutti i vitigni si comportano allo stesso modo. Questa “modernità antica” per poter essere applicata oggi in cantina necessita di una verifica preliminare che tenga conto delle caratteristiche delle uve, del “terroir” e in fin dei conti della tipologia di vino cui si vuole tendere; di conseguenza, la terracotta può diventare un valido strumento per diversificare e personalizzare il prodotto finito. Questi temi e altri dettagli sull’utilizzo della terracotta sono stati affrontati mercoledì 16 novembre in occasione di SIMEI durante un convegno che ha ripercorso la storia di questo antico vaso vinario, confrontandosi con produttori italiani ed esteri che impiegano regolarmente l’anfora in fase di vinificazione e/o maturazione dei vini e scoprire l’interesse commerciale che questi vini hanno sul mercato.